I Cantù raccontano
La battaglia di Verderio
Tratto da Cesare Cantù, La battaglia di Verderio
PREGATE PER LI POVERI MORTI
NELLA GRAN BATTAGLIA
TRA FRANCESI E AUSTRO-RUSSI
QUI COMBATTUTA IL 29 APRILE 1799
Quest'iscrizione, apposta a un crocione di legno, piantato nei campi a pochi passi da Verderio Superiore, io leggeva tornando da una vicina sagra, il giorno di santa Teresa del 1833, — la leggeva forse per la ventesima volta, eppure, come la prima fosse, mi commoveva d'intima melanconia il paragone fra questa grande battaglia di poche migliaja d'uomini e i gloriosi macelli di Wagram e di Jena; mi commoveva quell'indistinto ricordo di tanti infelici, quivi periti, lontan dalla patria, sconosciuti, incompianti; uccisi non sapendo da chi; combattendo senza conoscere il perché. Dove il masnadiere scanna un viandante per derubarlo, si pianta un segnale; e il passeggero vi recita un suffragio pel mal capitato, né sa frenare un moto di sdegno verso l'omicida. Qui furono trucidati tanti insieme, sul campo della irrazionale obbedienza che chiamano campo dell'onore; — appena la religione benedisse la tomba de' prodi, e rimosse la bestemmia da chi ne fu cagione.
Questi pensieri mi teneano fermo, col capo scoperto e le braccia sul petto incrociate, dinanzi a quella croce, allorché un vecchio, al quale io non avea fatto mente dapprima, interruppe il mio meditare dicendomi : — Ell'era ancora in mente Dei quando avvennero quei casi. Ma io, ho proprio vedut'io con quest'occhi ciò che ella legge».
Ingordo sempre d'ascoltare racconti da coloro che ne furono testimonj, e coi quali par che si prenda non solo interesse ma parte, pensate se lasciai cadere a terra quelle parole. Mi volsi anzi ad esso pregandolo a ripetermi quel ch'egli sapeva di tali avventure. Sebbene più verso i sessanta che i cinquant'anni, era florido e rubizzo, talché non gli disdiceva il fucile che alle spalle recava: sedea sopra un paracarri rasente la via; ed io, postomegli di fronte, attento l'ascoltavo, mentre egli così prese a dire:
— Io era giovane, ben giovane e saldo prima di quei tempi; e servivo da lacchè nella casa degli illustrissimi padroni di quel palazzo e di questi poderi. Quando a un tratto mutano le cose: i Tedeschi, i quali (chi sa da quanti secoli?) qui se la gavazzavano in pace da padroni, sono costretti a fare fardello, ed arrivano i Francesi, i Giacobini.
Sa lei che differenza corre tra 'l venerdì e il sabato grasso? in quello, ciascuno attento a' fatti suoi, serio operoso; al domani una baldoria, un correr all'impazzata, a travestirsi, a saltabellare; e fin gli uomini più assennati pigliare un ramo non so se mi dica di pazzia. Faccia conto che né più né meno avvenisse in quell'occasione. Allora non più arciduca, non più imperatore; abbasso le aquile, cancellati gli stemmi: ognuno mette al cappello una coccarda a tre colori; bandiscono che siano liberi tutti, tutti eguali, il padrone al villano, il nobile all'artiero, il servo al suo signore; e feste, e falò e sulle piazze, pe' sagrati, da per tutto piantare un albero, che voleva dire la libertà e non aveva radici; e attorno a quello cantare, ballonzare, far scene e arringherie, sinché il capriccio di qualche caporale, in nome della libertà, non interrompesse la baldoria.
Lor giovani, è inutile, non ne vedranno più di vicende simili; ed io, se campassi dugent'anni, non mi uscirà mai di memoria il trapestio di quel tempo. Io non aveva mai veduto né sentito altrettanto giovane del resto e perciò volonteroso delle novità, se in sulle prime mi parevano follie, non tardai a pigliarci gusto come gli altri; come gli altri mi lasciai inorpellare, e mi credetti divenuto un gran che. Capperi! non ero io cittadino? non potevo dar del tu alla signora contessa, e dir cittadino al signor marchese? I ricchi, ai quali, un giorno peggio dell'altro fioccavano addosso pesi, imposizioni, angherie, dovettero tirar i remi in barca e limitare le spese. I nuovi predicatori poi trovavano crudeltà che un uomo dovesse correre a prova de' cavalli innanzi alla carrozza dei padroni, a rischio spesso di farsi calpestare, sicuro di rovinar la salute; onde l'uffizio mio di lacchè cessò; ed io non trovando di prender servizio altrimenti, se volli strappare un boccone di pane, dovetti tornare in paese. Merito dell'eguaglianza.
Anche qui tutto era mutato, tutto sossopra. I miei compagni con festa m'accolsero; ed io imitando quel che avevo visto giù a Milano, feci piantar l'albero della libertà nel nostro e nei paeselli vicini.
Ma che sto a dirle? Certo lei avrà udito contar queste cose delle volte chi sa quante; e poi loro leggono i libri dove si trovano descritte per filo e per segno».
— Sì; è vero (gli soggiunsi io ), ma se sapeste come ognuno le narra diversamente, secondo che con diversi occhi le ha vedute, non vi farebbe meraviglia ch'io senta tanta voglia d'udirle da voi novamente. Quanto ai libri, poveretto chi vorrà dai libri giudicare que' giorni! Onde, ve ne prego, seguitate, e ravviatemi un po' su quei giorni che pareano promettere un procelloso e vivace secolo ad una generazione, destinata invece a passarlo mogia e dormigliosa. Ditemi almeno quel che accadde a voi in particolare».
— A me? oh io feci quel che fecero gli altri, e messami la giubba verde e la tracolla rossa, entrai guardia nazionale : soldati senza soldo, che stavamo a casa nostra per far guarnigione al paese, e per salvario se mai venissero nemici. Se questi si fossero affacciati, io non so quel che avremmo fatto: so bene che, quanto sia alla quiete e al tenere sgombro da malandrini, non c'è a che dire, mai non s'è inteso d'una prepotenza qui intorno pel corso di que' tre anni.
Io però era sazio di quel trambusto irriposato: non mi parca trovar poi quella fratellanza che predicavano, quel ben volersi un l'altro; massimamente mi dispiaceva quel vedere malmenati i preti, e disturbate le chiese e i sacramenti, e ne prevedevo poco di bene. In fatto la primavera del 99.... allora dicevano ad un altro modo, perché erasi mutato tutto, e fin gli anni e i mesi e le settimane, ma da noi non vi si dava ascolto, e la domenica si faceva festa, e a Natale si mangiava il panatone, e a Pasqua le uova e confessarsi. La primavera, come dicevo, del 99, s'intendono di strane novità, prima bisbigliate all'orecchio de' più fidati, poi si divulgano; che è, che non è; si scrive come 'l quale i Francesi scappano, e tornano i Tedeschi con Russi e Cosacchi e che altre genti so io, a ristabilire i troni e la religione.
Allora un farnetico di saper di novità, anche noi villani, avvezzi un tempo a lasciar fare ai padroni, senza curarcene più che tanto; un continuo domandarci, E sicché? abbiamo notizie? E secondo si udiva Hanno battuto; Furono battuti; Vengono; Si ritirano, alcune facce si facevano tanto lunghe, altre ridenti e giulive: come quando il sole mostrasi attraverso ai nugoloni, che ad un tratto fa lucente questo prato, mentre quel poggio sta nell'ombra, poi di subito sparge sul poggio la luce, e lascia il prato nell'oscurità.
I più però erano quelli, che, tutt'allegrezza, esclamavano: Tornano i Tedeschi; vengono i castigamatti; i nostri buoni; i nostri cari padroni; non più contribuzioni, non più Giacobini, non più andar soldato: e la roba nostra sarà nostra; e i figliuoli nostri torneranno a star in casa ed essere obbedienti, e lasciar comandare a chi tocca. E quel ch'è il cap'essenziale la religione si rimetterà in onore; potremo ancora far le processioni e scampanare finché ci piaccia.
Mentre da noi si discorreva, quegli altri venivano. A Lecco, sentiamo dire s'è data una battaglia, come quelle scritte sulle gazzette: poi i Francesi hanno fatto saltare il ponte, e si ritirano per difendere Trezzo e Vaprio e Cassano. I Russi sono di là dall'Adda; onde le nostre contrade possono dormire i loro sonni in pace. Quando improvviso arrivano novelle di mala sorte; che i Russi hanno a Brivio varcato il fiume e si difilano adesso a noi, e quel ch'è il peggio, sputano fuoco, rubano che che trovano, bastonano gli uomini, malmenano le povere donne; fanno scempio de' Giacobini come degli Aristocratici, di chi conservò la coda e i calzoni, come di chi va zuccone e colle brache a pantaloni.
Allora, amici o no de' Tedeschi e de' Russi, ciascuno dà spesa al suo cervello per ascondere quella poca grazia di Dio: è un corri d'ogni banda a tramutar le bestie, a sotterrare i quattrini, a trafugare ogni miglioramento.
Ma dove? se nessun luogo era sicuro, se da per tutto arrivavano a grappare quelle picche maledette?
lo, come tutti gli altri miei commilitoni, voleva ella che facessimo i valent'uomini contro un esercito? Prima nostra cura fu dunque di nascondere, chi sa dove, le nostre divise verdi e le coccarde, che guai sa ce le trovavano! poi star aspettando, e pregare Dio che la madasse buona.
Quanto a me, non avevo né genti né parenti; onde, seppellito alla meglio quel che mi avanzava, posi tanto di stanga traverso alla porta della mia casuccia, solo per non parere men savio degli altri: che del resto tanto sarebbe valso il lasciarla spalancata; poi... Già la carne non mi pesava; uscito da un abbaino d'in sul tetto, con questo schioppo ad armacollo, la diedi perle carapagne. Il mio schioppo, qualora l'ebbi a lato, mi sentii sempre valere il doppio: de' campi, de' boschi, nessuno più pratico di me, onde speravo campare. Intanto cominciano a sfilare Francesi buzzi buzzi, senza quell'aria di me n'infischio dell'altre volte; e dietro a loro picchetti avanzati di Barbetti e Cosacchi, con faccie da posali lì, su cavalli che correvano come il vento: erano soldati di Bagrazion, di Rosenberg, di Wukasowich, d'altri nomi che adopriamo ancora per ispauracchio de' ragazzi. Venire e far netto era tutt'uno; sicché la gente, vedendo che, gialli o verdi, era assai salvar la pelle, chi poté fuggire non rimase; e senza mancar maglia, chi qua, chi là se la batterono ai monti, alle cascine più fuor di mano, per cansare la mala ventura. Quanti n'ho io scortati che i giorni innanzi stavano tant'alto, e mi voleano rimangiare quasi fosse tornato il tempo loro; e adesso scappavano da coloro che tanto aveano ribramati! Davvero io me ne sentiva la bocca amara, e avrei voluto dar loro almeno una mostacciata: pure morsi la lingua, feci servigi a chi potei, e me ne trovo contento, ancorché essi poi m'abbiano pagato di sconoscente arroganza, non più ricordandosi di quei lumi di luna, quando mi dicevano: Carlandrea; sono nelle vostre mani.