I Cantù raccontano
Ignazio Cantù e la moglie
Tratto da Ignazio Cantù, Idillio d'amore sul laghetto di Pusiano
Fu pur bella e di eterna ricordanza quella sera di maggio, che al chiaror della luna salimmo una leggera navicella soli io, e tu, cara sposa, due esseri che la natura creò per amarsi, e la costanza ed il cielo congiunsero felicemente! Respirava l'alito vespertino, che discende ad increspare l'argentea superficie del lago, e i raggi della luna rifrangendosi nelle onde raffiguravano le immagini più vaghe e più graziose. Amabile sposa! erano pochi mesi che io ti chiamava con questo nome, ricco di tanti affetti, ma già erano assai per farmi conoscere il tuo bel cuore, indovinare i tuoi sensi e partecipare alle impressioni, che ricevevi da quella universale quiete. L'iride della speranza coloriva la tua fronte, non corrugata da alcun turbamento, e su cui era trasfusa la tranquillità della coscienza.
Io spingeva remigando la navicella, sulla cui prora tu sedevi, mirando fissamente il sereno orizzonte, ingemmata di innumerevoli stelle, quali vaganti, quali ferme, quali brillantissime, quali sanguigne. Morivano intanto all'intorno i suoni dell'avemaria, che ricordano i cari estinti, e richiamano al pensiero del pellegrino il focolare, a cui sedea fanciulletto, e il mesto addio proferito agli amici ed ai congiunti. Si era tutto riposto nella più dolce tranquillità non rotta che da qualche monotono suono di zampogna, o dalla tenera cantilena con che le madri chiamano il sonno sulle pupille dei loro lattanti.
Spenti tutti i fuochi, in quell'universale oscurità non lucicava che un lontano chiarore, somigliante al faro che l'antica Ero allumava di notte all'aspettato Leandro. Tu fissavi lo sguardo avidamente a quel lume, come assorta in un pensiero profondo, né parlavi, né ti commovevi. Io intanto, ritirati i remi dalle onde e lasciato il battello in balia del leggero venticello, m'assisi in silenzio non osando turbare il tuo incanto, e dissi fra me – Quante volte io la vidi assopita in tale estasi nei giorni della fidanza dopo che strette le mie nelle sue mani avevamo parlalo con timore e con isperanza di quell'ora, che avremmo deposto il solenne giuramento davanti al sacerdote. Fu lungo il novero dei giorni che passarono di mezzo, ma volarono rapidissimi; e il solenne giuramento fu proferito, e fummo sposi che solo la morte potrà separare! Oh coloro che trascorrono sugli svariati campi dell'amore, in traccia di fiori che appena colti appassiscono, non lasciando che durissime spine, quante delizie ritroverebbero nel seno d'una tenera consorte, nella sicurezza della coscienza, nella tranquillità della vita! Potessero conoscere la pace, che rallegra il tetto d'un concorde consorzio e si abbellirebbero per essi le cure che fanno grave e terribile il governo d'una famiglia. Chi non ha bisogno d'un cuore che risponda ai moti del suo cuore? d'una mano che pietosa gli terga i sudori della fronte? d'un bacio che tranquilli la tempesta de' suoi pensieri? d'un orecchio, ove senza sospetto deponga il segreto dell'anima? d'un amico, che gli sia compagno nel cammino della vita? Ecco gli augusti uffici a cui sei riserbata o tenera sposa! Quest'ultime parole proferite col tuono vivace della gioja valsero a risvegliarti del tuo leggero sopore e amorosamente volgendoti a me, dicevi: «Oh quel chiarore solitario quanti affetti m'infonde! Oh mi favella con un linguaggio pieno di poesia e di idee! Il mio cuore abbonda di sentimenti di cui la canzone sola può qualche parte palesare»!
Mi sembra ancora vedere comporti allora a quel più di tenerezza che io non vidi giammai, e farti a me più vicino.... La navicella agitata lieve lieve dondulò e fece increspare l'onde ingemmate dalla luna. Mi movesti un sorriso innocente come per cercare sul mio volto il consenso, indi con armoniosa voce intuonasti quella canzone:
IL LUME DI NOTTE
Quand'io nei dì più teneri
Vagava all'aer nero,
Scorgea fantasmi e lemuri
Coll'infantil pensiero,
Se i rai vedea di fiaccola
Entro il notturno orror.
Credea che fosse l'anima
D'un genitor tornata
A consolar le lagrime
Della famiglia amata,
Od un vampiro, o tacito
Fantasma di terror.
Oggi, allorché di fiaccola
Scorgo il lontan chiarore,
Dell'ore quete rompere
Il taciturno orrore;
Pasco ben d'altre immagini
Il giovanil pensier.
Dico – risplendi o pallida
Face sul capo algente,
Sulla pupilla tremula
d'un genitor morente,
O sulla faccia livida
D'un egro prigionier?
O tu rischiari l'umile
Chiesa d'angusta villa,
Ove il devoto popolo
Nell'ora più tranquilla
S'aduna ed erge il cantico
Notturno al suo Fattor?
Sei forse o lume il tremulo
Fulgor che di Maria
Alla devota immagine
Pose una vergin pia,
Fra l'ineffabil estasi
D'un verecondo amor ?
O lietamente illumini
La parca cena allegra
D'una famiglia rustica
Che l'animo rintegra,
E de' sudori novera
Il lucro giornalier?
Oh le mesti urne imporpori
Di quei che morte aduna,
Sien prepotenti o miseri
Ad un'egual fortuna,
O sotto croce povera
O sotto cippo altier?
O al tuo chiaror si mutano
L'orme dell'uom pietoso,
Che nel silenzio visita
L'ostel, di chi l'esoso
Squallor non osa porgere
Al mondo insultator? -
Tale il pensier travalica
Dall'una all'altra idea;
Or lieta or malanconica
Come il desio la crea,
E come le moltiplica
Vicende del mio cuor.
Quando della canizia
Vedrò le gelid'ore,
Se scorgerò la fiaccola
Nel taciturno orrore
Di questo cuor le immagini
Quali saranno allor?
Questo canto fu semplice al pari de' nostri desiderj, ma abbastanza sublime per chi, com'io, potea leggere il resto che non volesti esprimere. La soavità e l'armonia della voce suonava nell'universale silenzio, come la malinconica modulazione d'un'arpa notturna, ed era ripetuta dall'eco lontana.
Il leggiero alito ingrossato alquanto aveva spinta a navicella fra le canne palustri ove s'aggirava un lembo di lucciole irrequiete. Quella pace universale favoriva le dolcezze dei nostri discorsi e con quanta gioja entrammo a ragionare dell'avvenire di quel giorno poco lontano in cui tu diverresti madre e abbracceresti quel figlio, a cui ordivi nel tuo seno la vita, e in cui riponevi la tua futura compiacenza. Come godevamo raffigurarcelo bello siccome un angelo, vivace come l'innocenza, con rosee labbra sempre preparate ai baci sinceri, con biondi capelli su cui non isdegna posarsi lo sguardo dell'uomo sapiente, con quella tenera voce che sa attirare ad ascoltarla un numeroso crocchio di persone d' età matura che se lo rubano fuor delle braccia per fargli vezzi, per palleggiarlo, divorarlo e dicevi sommessamente: «Deh o signore sii cortese di biade al campo, di lana all'agnellino, di piume all'augello, e di figli alla madre che ti teme». Pochi mesi trascorsero da quell'ora a quell'altra in cui fummo salutati genitori, e quell'innocente primogenito che esulta di tanta vivacità, e dorme placidamente ignaro ancora dei guai della vita, come il nochiero che riposa tranquillamente nel suo battello, non sentendo la tempesta che gli rugge d'intorno, quell'innocente sappia un giorno quali erano i tuoi affetti allorchè la sua vita era nascosta nella tua, affetti che tante volte mi ridicesti, e che io pure quella sera commisi al canto cha ora ti ripeto:
Nell'ore più fantastiche,
Quando il desio figura
Come presente all'avido
Pensier l'età futura,
E pregustar fa il giubilo
D'ore non nate ancor;
Fra lusinghiere immagini
Pasce Adelina il cuor.
Mentre balzar dell'utero
Sente l'ascoso pondo,
Vola alla cara indagine
D'un avvenir giocondo,
Quando sul crin del pargolo
La faccia poserà,
E nel baciarlo i gemiti
Del parto scorderà.
Quando con orma tacita
Dell'addormito figlio
Esplorerà la requie,
E nel sopito ciglio
Contemplerà le tenere
Forme del genitor;
Cauta perché coll'alito
Non turbi quel sopor.
Quando ai trastulli, a movere
L'infermo pie da solo
L'addestrerà, reggendolo,
Perché non cada al suolo,
E le pie man congiungere
Gl'insegnerà sul cor,
Ed invocare il mistico
Nome del suo Signor.
O scorrazzar sul florido
Pendio di facil clivo,
O lo vedrà sul margine
Posar d'innocuo rivo;
E teso il capo chiedere
Nel rio la sua beltà,
Ed ispiccar le mammole
Che ai genitor darà.
Con orma aerea correre
Dietro gli assidui strilli;
Cercar dove s'annidino
I solitari grilli,
O la vagante lucciola
Seguir da fiore a fior,
E la ghermita a splendere
Sopra la fronte appor.
Oh quante volte al gemito
Dei bronzi della sera,
Che sulle labbra chiamano
La memore preghiera,
Lo condurrà del tempio
Al santo limitar,
O tra le croci funebri
Per gli avi a supplicar.
Così di liete immagini
Nella dolcezza assorta,
Del grave seno il tedio
Con care idee conforta;
Mentre i suoi diti tessono
La veste ai bambinel,
Che balza ancor nell'utero
Vago d' aperto ciel.
Che riconoscenza fu per me quella lagrima che ti tremò allora negli occhi! premio ben a me più chiaro che un trono, poiché i doni del cuore stanno sempre innanzi a quei largiti dalla fortuna! Intanto la navicella era giunta al lido, e pieni entrambi di commozione e d'amore ci avviammo al nostro focolare. Oh quella sera fu pur bella e di perpetua ricordanza!